venerdì 25 novembre 2016

25 novembre: giornata contro la violenza alle donne


Mi guarda! Quel bastardo pianta i suoi occhi dritti sui miei e non dice nulla, poi il suo sguardo scende verso il mio corpo, quando lo ha attraversato tutto si alza e se ne va per quella maledetta porta, quella da cui l’avevo fatto entrare 3 anni fa.
Era una sera di dicembre, poco prima di Natale, dopo una cena di lavoro, lui era amico di un mio collega, ci eravamo già incontrati altre volte e quella notte, grazie anche a qualche cocktail in più l’avevo invitato a casa mia. Era così premuroso, così dolce, sempre attento ad ogni mio bisogno.
Nel primo anno mi aveva regalato una rosa per ogni mesiversario, non se lo dimenticava mai. Poi ogni mattina trovavo un suo messaggio di buongiorno sul cellulare. Sembrava una favola, non ci potevo credere, io con gli uomini ero sempre stata sfigata, non me ne andava bene uno; con lui finalmente era diverso, almeno lo sembrava. Le cose cominciarono a cambiare il Natale successivo, l’azienda dove lavorava aveva avuto dei problemi e si era ritrovato a casa, così sempre più spesso stava da me, a me non dispiaceva trovare qualcuno quando tornavo dal lavoro, soprattutto se era lui, ma era sempre più serio e sempre più incazzato, ogni giorno trovava il modo per litigare: << Questa casa è un cesso, non vedi che casino c’è?>> << Non pulisci mai, sembra di vivere in un campo nomadi!>> All’inizio avevo lasciato perdere, pensavo fosse solo un brutto periodo e avesse bisogno di sfogarsi, cercavo di andargli incontro, di evitare i motivi che lo facevano incazzare, ma appena pulivo da una parte, trovava un motivo da un’altra. E le offese cominciavano ad aumentare, mi chiamava, stupida, stronza, troia a seconda del motivo e del momento ed aveva deciso di trasferirsi definitivamente a casa mia. << Forse, non è il caso che ti trasferisci qui, almeno non finché non ci capiremo per bene su tutte le questioni pratiche come l’ordine!>> glielo avevo detto in cucina mentre preparavo la cena, con calma, volevo solo non farlo star più male di come stava. Lui non rispose ma sentii una fitta fortissima allo stinco e caddi per terra con il cucchiaio ancora in mano. Sentii la porta sbattere e cominciai a piangere, andai in bagno, mi tolsi i pantaloni, il livido con l’impronta della sua scarpa era già ben visibile. Ero disperata, avevo sbagliato, lui si era sentito offeso, credeva non lo volessi. Lo chiamai più volte al telefono, gli scrissi. Dopo un po’ lo sentii rientrare, aveva un mazzo di rose in mano, si inginocchiò davanti a me e mi chiese scusa. Gli dissi che non volevo farlo star male e lo lasciai venire ad abitare a casa mia. Da quella volta è sempre stato così: quando qualcosa che dicevo non andava bene me lo faceva capire con le mani o con i piedi. Avevo iniziato ad usare abitualmente sciarpe, occhiali da sole e pantaloni lunghi. Quando le mie amiche mi chiedevano cosa mi fosse successo mi inventavo cadute, spigoli dell’armadio, allergie e congiuntiviti. Loro non avrebbero capito, mi avrebbero detto che era lui a sbagliare non io, ma loro non sapevano. Almeno io mi dicevo così, fino ad oggi. Mi sono sentita male al lavoro, nulla di grave ma sono venuta a casa, da lui. Mentre ero sul divano mi è arrivato un messaggio, lo ha letto lui: << Ciao, stai meglio? Riguardati capa!>> era il mio superiore. Lui si è incazzato:<< Cosa c’è tra di voi? Te la fai con il capo, puttana?>> ho provato a spiegargli che non c’è nulla tra di noi, che era solo stato gentile che amavo solo lui, ma continuava ad urlare, poi mi ha preso per i capelli, mi ha trascinata per terra e ha cominciato a prendermi a calci: << Così capisci chi comanda, troia! Ora vediamo se hai ancora voglia di scherzare con il tuo capo, stronza!>> Prima le gambe, poi lo stomaco, un dolore atroce, mi sono rannicchiata su me stessa, ma un calcio mi è arrivato in faccia, poi non ho sentito più nulla. Ho appena riaperto gli occhi, sento il gusto ferruginoso del sangue in bocca. Lui è lì e mi guarda. Quel bastardo pianta i suoi occhi dritti sui miei e non dice nulla, poi il suo sguardo scende verso il mio corpo, quando lo ha attraversato tutto si alza e se ne va per quella maledetta porta. Resto sola, avrei dovuto parlarne con le mie amiche, avrei dovuto mandarlo via, avrei dovuto...ma non l’ho fatto e ora sono sola nel mio sangue e non ho nessuno a cui dire addio.