venerdì 20 maggio 2016

Per i profughi di Idomeni



Non mi interessavano auto lussuose o ville con piscina, volevo solo un luogo dove non rischiare di morire ogni giorno, dove mio figlio avrebbe potuto avere un futuro: una scuola da frequentare, un vestito da indossare, un luogo dove fossimo trattati finalmente da esseri umani.
Ma mi sbagliavo, eccoci qui nel limbo, nessuno ci vuole, ammassati come bestie in un campo, in balia di tutto: se fa caldo siamo in un deserto, se piove in un lago. Non possiamo decidere, non possiamo muoverci, solo aspettare ma non sappiamo né chi né per quanto. Siamo ciò che nessuno vorrebbe vedere né avere vicino, il mondo sembra vergognarsi di noi, ha paura di noi, di ciò da cui scappiamo, di ciò che desideriamo. A volte, da quegli stati che volevamo raggiungere, arrivano furgoni con scatoloni pieni di abiti, di medicinali, di scarpe: la nostra salvezza. Agghindati come pagliacci, indossando a caso ciò che troviamo, siamo salvi e ringraziamo il cielo che queste persone esistano e si ricordino di noi e si ricordino che anche noi, abbandonati qui, siamo esseri umani.

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